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Recensione dell'opera lirica La Damnation de Faust di Hector Berlioz al Teatro Massimo di Palermo

Gigi Scalici, 23/02/2012

In breve:
Palermo, 29 gennaio - La Damnation de Faust di Hector Berlioz al Teatro Massimo per la regia di Terry Gilliam


Sin troppo spettacolare il nuovo allestimento del capolavoro di Berlioz nella nuova chiave di lettura di Terry Gilliam.

Senza dubbio il celebre poema ottocentesco di J.W. Goethe ha ispirato scrittori, librettisti e compositori d'opera, registi e scenografi, nella storia della letteratura, della musica, della pittura, del teatro nonché del cinema.

Al Teatro Massimo sono stati già rappresentati, con una buona affermazione tra il pubblico e la critica, il Faust di Charles Gounod nel 2000 e il Mefistofele di Arrigo Boito nel 2008, entrambi messi in scena con allestimenti piuttosto moderni: il primo più convenzionale con la regia di Giuliano Montaldo, il secondo di Giancarlo del Monaco invece ancora più innovativo e in buona parte trasgressivo, entrambi però adeguati ai rispettivi testi.

In questa nuova edizione che apre la stagione del 2012, Terry Gilliam famoso nel campo teatrale moderno, televisivo e cinematografico, al suo primo lavoro operistico, rappresenta – con le scene di Hildegard Bechtler e i costumi di Katrina Lindsay - la leggenda drammatica de La Damnation de Faust a cavallo tra la fine dell'ottocento e la prima metà del novecento, ponendo in particolare rilievo la Germania nazista anti bolscevica e antisemita.

Il successo - della spettacolarità fine a se stessa e forse destinata a chi non frequenta molto il teatro lirico – già ottenuto lo scorso anno nella coproduzione realizzata dal Massimo con la English National Opera e con la Vlaamse Opera, è assicurato: grandi effetti speciali scenografici, movimenti di scena nella scena, delle masse compresa quella corale, proiezioni e tutto quanto necessario a rendere la rappresentazione quanto più articolata e più dinamica possibile.

A coloro più attenti all'insieme operistico sembra tuttavia che vengano meno – tardo medioevo a parte - la fondamentale caratteristica romantica del dramma, la naturalezza, l'allegria degli studenti e dei soldati in questo capolavoro nato inizialmente in forma di concerto. Le discordanze tra il testo e le scene sono troppo evidenti, i solisti ed il coro si trovano spesso ad esternare espressioni e sentimenti assolutamente fuori dal nuovo contesto scenografico, in un ambiente sin troppo ironico ai limiti del grottesco e ad esibirsi in posizioni alquanto scomode.

D'accordo, oggi l'opera lirica non può essere rappresentata in modo tradizionale, le innovazioni e le diverse letture nel tempo sono ormai necessarie, La Damnation si presta senz'altro all'innovazione, ciò nonostante sarebbe opportuno un certo equilibrio tra la scenografia, il libretto e la musica che è ovviamente fondamentale. Viene altresì difficoltoso condividere certe peculiarità, sin troppo esagerate e di discutibile gusto come, ad esempio in questa versione, il trionfo nazista e la simbolica crocifissione di Faust sulla svastica.

È chiaro, il teatro è anche ironia, il diavolo, il male non hanno né tempo né luogo, ma ci si domanda - soprattutto in questi giorni in cui ricorre il giorno della memoria – se gli eredi degli ebrei avrebbero preferito veder rappresentare la sconfitta del male e quindi dei nazisti, come nel Mefistofele più fedele a Goethe, piuttosto che la loro supremazia.
(Le foto ed il video tratti dal Massimo sono alquanto eloquenti).

Per quanto concerne l'aspetto musicale, cui la maggior parte degli appassionati d'opera riserva primaria attenzione, il risultato è sufficiente per le voci soliste e ottimo sia per l'esecuzione orchestrale, sia per il coro e le voci bianche.
L'organico orchestrale al gran completo è ben saldo, sotto l'attenta e precisa direzione di Roberto Abbado. Il nipote del celebre Claudio riesce ad ottenere tuttavia un perfetto equilibrio di tempi e di dinamiche con il palcoscenico, prevalentemente con l'imponente coro e le voci bianche nelle scene d'insieme, in questa partitura che dedica poche pagine ai solisti, destinandole soprattutto alla polifonia e ai brani orchestrali.

Gianluca Terranova è l'interprete scenicamente e vocalmente più impegnato in questo Dottor Faust destinato all'inferno. Si cala sapientemente nel sofferto personaggio con un'interpretazione dignitosa, dalla buona vocalità di tenore lirico, costante in tutta l'estensione e con qualche limite verso le note più acute. Di gran trasporto il giovane tenore nel monologo Le viel hiver a fait place au printemps all'inizio dell'opera, in Merci doux crepuscul nella terza parte e romantico nell'invocazione alla natura nella quarta Nature immense inpenetrable et fiere, dopo la bella e unica classica romanza operistica dell'ebrea Margherite D'amour l'ardente flamme in cui la giovane mezzosoprano Anke Vondung dal timbro chiaro si distingue particolarmente per il raffinato stile di canto liederistico, accompagnata da un prezioso corno inglese.

L'esperto baritono Lucio Gallo è a proprio agio nei vari travestimenti di Mefisto, riesce con padronanza a determinare il destino delle povere vittime, favorito dalla partitura che liricamente non lo impegna molto, ma che richiede soprattutto qualità recitative. Corretto nella ballata Una puce gentile e nell'aria Voici des roses della seconda parte.
Altrettanto dignitoso il Brander del basso Enrico Iori, nella classica ballata del topo Certain rait dans une cuisine.

Esemplare come si diceva la numerosa compagine corale – in quest'occasione sempre in movimento – e particolarmente raffinati gli spiriti celesti e i bambini nell'apoteosi di Margherite, ben concertati da Andrea Faidutti e Salvatore Punturo.

Al termine dello spettacolo il pubblico è ovviamente diviso come accade sempre in questi circostanze, ma ampiamente soddisfatto per la direzione d'orchestra, per i cori e per le voci soliste.

 
 
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